STORIE DI FOIBE 3 - Il racconto di un sopravvissuto
Foiba di Vines -
Recuperate dal Maresciallo Harzarich dal 16.10.1943 al 25.10.1943 cinquantuno
salme riconosciute. In questa Foiba, sul cui fondo scorre dell'acqua, gli
assassinati dopo essere stati torturati, finirono precipitati con una pietra
legata con un filo di ferro alle mani. Furono poi lanciate delle bombe a mano
nell'interno. Unico superstite, Giovanni Radeticchio, ha raccontato il fatto.
Riuscì a
sopravvivere Giovanni Radeticchio di Sisano.
Ecco il suo
racconto: "Addì 2 maggio 1945, Giulio Premate accompagnato da altri
quattro armati venne a prelevarmi a casa mia con un camioncino sul quale erano
già i tre fratelli Alessandro, Francesco e Giuseppe Frezza nonché Giuseppe
Benci. Giungemmo stanchi ed affamati a Pozzo Littorio dove ci aspettava una mostruosa
accoglienza; piegati e con la testa all’ingiù fecero correre contro il muro
Borsi, Cossi e Ferrarin. Caduti a terra dallo stordimento vennero presi a calci
in tutte le parti del corpo finché rinvennero e poi ripetevano il macabro
spettacolo. Chiamati dalla prigionia al comando, venivano picchiati da ragazzi
armati di pezzi di legno.
Alla sera, prima
di proseguire per Fianona, dopo trenta ore di digiuno, ci diedero un piatto di
minestra con pasta nera non condita. Anche questo tratto di strada a piedi e
per giunta legati col filo di ferro ai polsi due a due, così stretti da farci
gonfiare le mani ed urlare dai dolori. Non ci picchiavano perché era buio.
Ad un certo
momento della notte vennero a prelevarci uno ad uno per portarci nella camera
della torture. Ero l'ultimo ad essere martoriato: udivo i colpi che davano ai
miei compagni di sventura e le urla di strazio di questi ultimi. Venne il mio
turno: mi spogliarono, rinforzarono la legatura ai polsi e poi, giù botte da
orbi. Cinque manigoldi contro di me, inerme e legato, fra questi una femmina.
Uno mi dava pedate, un secondo mi picchiava col filo di ferro attorcigliato, un
terzo con un pezzo di legno, un quarto con pugni, la femmina mi picchiava con
una cinghia di cuoio.
Prima dell'alba
mi legarono con le mani dietro la schiena ed in fila indiana, assieme a Carlo
Radolovich di Marzana, Natale Mazzucca da Pinesi (Marzana), Felice Cossi da
Sisano, Graziano Udovisi da Pola, Giuseppe Sabatti da Visinada, mi condussero
fino all'imboccatura della Foiba. Per strada ci picchiavano col calcio e colla
canna del moschetto. Arrivati al posto del supplizio ci levarono quanto loro
sembrava ancora utile. A me levarono le calze (le scarpe me le avevano già
prese un paio di giorni prima), il fazzoletto da naso e la cinghia dei
pantaloni. Mi appesero un grosso sasso, del peso di circa dieci chilogrammi,
per mezzo di filo di ferro ai polsi già legati con altro filo di ferro e mi
costrinsero ad andare da solo dietro Lidovisi, già sceso nella Foiba. Dopo
qualche istante mi spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che
colpissero il filo di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso
nell'acqua della Foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho
potuto arenarmi. Intanto continuavano a cadere gli altri miei compagni e dietro
ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l'ultima vittima, gettarono una bomba
a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non reggevo più.
Sono riuscito a
rompere il filo di ferro che mi serrava i polsi, straziando contemporaneamente
le mie carni,poiché i polsi cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così
nella Foiba per un paio di ore. Poi, col favore della notte, uscii da quella
che doveva essere la mia tomba"
Brano tratto dal
sito dell’Associazione “Lega Nazionale” Via di Donota 2, 34121 – Trieste
- www.leganazionale.it