Cosa sono le Foibe: dai partigiani comunisti a Trieste alla tragedia delle Foibe
LE ORRIDE
VORAGINI DEL CARSO
Primavera 1945.
Trieste nuovamente «sottoposta a durissima occupazione straniera, subiva con
fierezza il martirio delle stragi e delle foibe, non rinunciando a manifestare
attivamente il suo attaccamento alla Patria». Lo proclama un solenne documento
dello Stato, firmato da due Presidenti della Repubblica, Luigi Einaudi e
Giovanni Gronchi, con il quale è stato concesso alla Città I'oro della massima
ricompensa al valor militare.
Il passo citato è
indiscutibilmente il più importante e incisivo della motivazione, che pur ne
contiene altri di molta rilevanza per il riferimento alle lotte
irredentistiche, all'eroismo dei volontari triestini nella Grande Guerra, alla
resistenza contro I'«artiglio nazista».
«Le foibe». Un
tempo la parola «foiba» apparteneva quasi esclusivamente al linguaggio degli
abitanti del Carso, ai geologi, agli speleologi. Oggi è più conosciuta - ma non
tanto - a seguito del lugubre significato di orrore e di morte. L'altipiano
roccioso del Carso, che si estende su notevole parte della Venezia Giulia, è da
paragonarsi ad una immensa groviera. Il suolo è costellato di numerose voragini
- ne sono state contate 1700 - che sprofondano per centinaia di metri nelle
viscere della terra, spesso percorse dalle acque. Appunto, le foibe,
misteriose, impressionanti, impenetrabili. E accanto ad esse cavità di ogni
genere, cunicoli, grotte, acque che scorrono fra tortuosi, profondi meandri.
I due fenomeni
più spettacolari di questo mondo sotterraneo le celebri Grotte di Postumia e il
fiume Timavo. Questo, dopo un percorso in superficie di circa 40 chilometri, si
getta negli abissi e prosegue per altrettanti chilometri fino alla profondità
di 300 metri, per ricomparire immediatamente in faccia al mare e finire nel
golfo di Trieste. Lo ricorda anche il poeta latino Virgilio nell'«Eneide». In
complesso, una natura unica, forte di massimo rispetto, ma buona, che purtroppo
gli uomini hanno più volte profanata e violentata. E così le foibe sono
diventate strumento di martirio e orrida tomba per migliaia di infelici. Ed
ecco i fatti.
I PARTIGIANI DI
TITO INVADONO TRIESTE
Alla fine
dell'aprile 1945 le armate tedesche si arrendono e l'Italia, stremata e straziata,
esce dal «tunnel» di una guerra disastrosa, ed esulta per la fine di tante
sofferenze e per le prospettive di pace. Non così Trieste, l'Istria, le terre
del confine orientale. Su di esse si avventano contro i patti, vide di
conquista e di vendetta, le truppe partigiane del maresciallo jugoslavo Tito
all'insegna della stella rossa. I neozelandesi, con insipiente imprevidenza
degli alti comandi anglo-americani, arriveranno in ritardo e poi staranno a
guardare. Trieste, l'Istria, Gorizia precipitano così dalla feroce oppressione
nazista nell'altrettanto feroce oppressione slavo-comunista. Ai forni crematori
e ai "lagher" della Germania subentrano le foibe e i «lagher»
balcanici.
A Trieste, le due
invasioni, le due oppressioni, tedesca e jugoslava, nazista e comunista, hanno
lasciato segni tremendi: la Risiera e le Foibe, in particolare quelle di
Basovizza e di Opicina. Sono le due fosse comuni più grandi e più tragiche
esistenti in Italia. Per la Risiera di San Sabba - un antico impianto
industriale per la lavorazione del riso, alla periferia della città - passarono
migliaia di ebrei e di partigiani di Tito o ritenuti tali, rastrellati dai
tedeschi nella regione ed avviati ai campi di sterminio in Germania; molti però
furono eliminati fra quelle squallide mura. Oggi la Risiera è classificata
«monumento nazionale».
Come detto, alla
Risiera, senza soluzione di continuità, si succedettero le foibe, che
ingoiarono soprattutto migliaia di italiani. La tecnica di eliminazione nelle
foibe era già stata collaudata e praticata dalle bande partigiane di Tito nella
prima invasione dell'Istria, dopo l'8 settembre 1943. Le vittime ammontarono a
centinaia. Molte salme furono recuperate allorché i tedeschi ricacciarono i
partigiani. Quei cadaveri misero in agghiacciante evidenza la crudeltà, la
ferocia degli infoibatori: corpi denudati e martoriati, mani legate con il filo
di ferro fino a straziare le carni, colpi alla nuca, sevizie orrende di ogni
genere.
QUARANTA GIORNI
DI TERRORE
Questa tecnica di
tortura e di morte venne applicata su più vasta scala anche nell'invasione
jugoslava della primavera 1945 a Trieste e altrove. Accanto alle foibe
istriane, altre foibe del Carso inghiottirono italiani, tedeschi ed anche
sloveni antititini. E alle foibe si aggiunsero le deportazioni per altre
migliaia di disgraziati, molti dei quali non conobbero ritorno. Ecco quanto ha
scritto sui tragici 40 giorni dell'occupazione, jugoslava Diego De Castro, che
fu rappresentante italiano presso il Governo militare alleato a Trieste:
" (...)
forse non è inutile ricordare agli altri italiani quali furono gli orrori
dell'occupazione jugoslava di Trieste e dell'Istria: gli spari del maggio 1945
contro un corteo di italiani inermi con cinque morti e innumerevoli feriti, le
razzie di miliardi di allora nelle banche. nelle società, negli enti pubblici.
A tutti i nostri connazionali è ormai nota la lugubre parola foiba e tutti
sanno che cosa sono i campi di concentramento."
Sul ciglione
carsico, a 9 chilometri da Trieste, sorge la borgata di Basovizza. Nei pressi
si apriva il "Pozzo della miniera", oggi meglio conosciuto come
"Foiba di Basovizza", divenuta simbolo di tutte le foibe del Carso e
dell'Istria, e di tutti i luoghi che videro il martirio e la morte atroce di
italiani, sia per il numero delle vittime che ha inghiottito, sia tragicità
delle vicende connesse alla strage colà perpetrata.
LA CARNEFICINA AL
POZZO DELLA MINIERA
Occorre precisare
che questa tristemente famosa voragine non è una foiba naturale, ma, appunto
come si accennato sopra, il pozzo di una miniera scavato all'inizio del secolo
fino alla profondità di 256 metri, nella speranza di trovarvi il carbone. La
speranza andò delusa e l'impresa venne abbandonata. Nessuno allora si curò di
coprire l'imboccatura e così, nel 1945, il pozzo si trasformò in una grande,
orrida tomba.
Un documento
allegato a un dossier sul comportamento delle truppe jugoslave nella Venezia
Giulia durante l'invasione, dossier presentato dalla delegazione italiana alla
conferenza di Parigi nel 1941, descrive la tremenda via-crucis delle vittime
destinate ad essere precipitate nella voragine di Basovizza, dopo essere state
prelevate nelle case di Trieste, durante alcuni giorni di un rigido coprifuoco.
Lassù arrivavano
gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati. Questi, con le
mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano
sospinti a gruppi verso l'orlo dell'abisso. Una scarica di mitra ai primi
faceva precipitare tutti nel baratro. Sul fondo chi non trovava morte istantanea
dopo un volo di 200 metri, continuava ad agonizzare tra gli spasmi delle ferite
e le lacerazioni riportate nella caduta tra gli spuntoni di roccia. Molte
vittime erano prima spogliate e seviziate.
LE VITTIME E I
CARNEFICI
Ma chi erano le
vittime? Italiani di ogni estrazione: civili, militari, carabinieri,
finanzieri, agenti di polizia e di custodia carceraria, fascisti e
antifascisti, membri del Comitato di liberazione nazionale. Contro questi
ultimi ci fu una caccia mirata, perchè in quel momento rappresentavano gli
oppositori più temuti delle mire annessionistiche di Tito.
Furono infoibati
anche tedeschi vivi e morti, e sloveni anticomunisti.
Quante furono le
vittime delle foibe? Nessuno lo saprà mai! Di certo non lo sanno neanche gli
esecutori delle stragi. Questi non hanno parlato e non parlano. Finora qui non
si è alzato alcun Otello Montanari come a Reggio Emilia, ad ammonire i compagni
comunisti. D'altra parte è, pensabile che in quel clima di furore omicida e di
caos ben poco ci si curasse di tenere la contabilità delle esecuzioni.
Sulla base di
vari elementi si calcola che gli infoibati furono alcune migliaia. Più
precisamente, secondo lo studioso triestino Raoul Pupo, "il numero degli
infoibati può essere calcolato tra i 4 mila e i 5 mila, prendendo come
attendibili i libri del sindaco Gianni Bartoli e i dati degli
anglo-americani".
Alle vittime
delle foibe vanno aggiunti i deportati, anche questi a migliaia, nei lagher
jugoslavi, dai quali una gran parte non conobbero ritorno. Complessivamente le
vittime di quegli anni tragici, soppresse in vario modo da mano
slavo-comunista, vengono indicati in 10 mila anche più. Belgrado non ha mai
fatto o contestato cifre. Lo stesso Tito però ammise la grande mattanza.
Per quanto
riguarda specificamente le persone fatte precipitare nella Foiba di Basovizza,
è stato fatto un calcolo inusuale e impressionante.
Tenendo presente
la profondità del pozzo prima e dopo la strage, fu rilevata la differenza di
una trentina di metri. Lo spazio volumetrico - indicato sulla stele al Sacrario
di Basovizza in 300 metri cubi - conterrebbe le salme degli infoibati: oltre
duemila vittime! Una cifra agghiacciante. Ma anche se fossero la metà, questa
rappresenterebbe pur sempre una strage immane. A guerra finita!
E i carnefici?
lndividui rimasti senza volto. Comunque è ritenuto certo che agirono su
direttive deII'OZNA, la famigerata polizia segreta del regime titino, i cui
agenti calarono a Trieste con le liste di proscrizione e si servirono di
manovalanza locale. Nell'invasione jugoslava di Trieste e di ciò che ne seguì i
comunisti locali hanno responsabilità gravissime. In quei giorni le loro
squadre con la stella rossa giravano per la città a pestare e ad arrestare.
Loro elementi formavano il nerbo della "difesa popolare".
Brano tratto dal
sito dell’Associazione “Lega Nazionale” Via di Donota 2, 34121 – Trieste
- www.leganazionale.it
Rif. "Le
stragi delle Foibe - due presidenti a Basovizza", Marcello Lorenzini,
Trieste 1994, Comitato per le Onoranze ai Caduti delle Foibe.