IL GIORNO DEL RICORDO


di Francesco Basso

Il 10 Febbraio è il giorno che l'Italia dedica al ricordo della tragedia degli italiani vittime delle Foibe e dell'esodo dalle loro terre di Istriani, Fiumani e Dalmati.
Con la legge 30 Marzo 2004, n. 92, il Parlamento italiano ha riconosciuto il l0 Febbraio quale "Giorno del Ricordo", con l'obiettivo di conservare e rinnovare la memoria della tragedia che ha colpito gli Istriani, i Fiumani e i Dalmati nel secondo dopoguerra, vittime delle Foibe e costretti all'esodo dalle loro terre. La data prescelta è il giorno in cui, nel 1947, fu firmato il trattato di pace che assegnava alla Jugoslavia l'Istria e la maggior parte della Venezia Giulia.
VENEZIA–GIULIA QUESTA SCONOSCIUTA
Potrebbe sembrare una favola, ma non lo è: è la storia di una Regione della nostra Patria che c'era una volta e che oggi non c'è più.
Era racchiusa tra le Alpi Giulie a nord e l'Adriatico a sud; fra il fiume Isonzo ad ovest, e ad est la displuviale che, da monte Tricorno digrada su monte Nevoso e su monte Maggiore prima di scendere sul golfo del Carnaro.
Comprendeva cinque Province: Trieste, Gorizia, Pola in Istria, Fiume nel Carnaro e Zara in Dalmazia.
Di queste città solo due sono rimaste all'Italia: Trieste mutilata, e Gorizia smembrata. L'una e l'altra oggi sono inserite nella Regione "Friuli Venezia Giulia".
ZARA, la perla dell'Adriatico, era un sestiere veneziano con calli e campielli, racchiuso fra due porte del Sanmicheli: quella di "terraferma", con un grande Leone di San Marco e quella "marina" con la statua di San Crisogono.
Gli Anglo Americani, su richiesta di Tito, la rasero al suolo, facendo sganciare su di essa, in 54 bombardamenti aerei, ben 61 Kg di esplosivo per ogni suo metro quadro. Si contarono 4.000 morti. L'85 % degli edifici andò distrutto.
Ancora nel 1910, lo scrittore e giornalista Arturo Colautti, così l'aveva definita: "…ultima oasi dell'italica civiltà sull'oriental costa dell'Adria; ultima rocca della stirpe latina opposta alla barbarica massa croata, cui l'astio e la paura del governo asburgico apersero gli argini tutti a più presto sommergerla; ultima vedetta del pensiero dantesco in cospetto del Quarnaro, nella suprema eroica pugna invanamente aspettante, dalla contraria sponda materna, segno d'aita o parole di speranza ai morituri".
Zara non era una base militare. Non era un importante nodo di comunicazioni. Non aveva rilevanza strategica. Fu cancellata per volere di Tito per oscurare per sempre quel millenario faro d'italianità sulla costa orientale adriatica. Abbandonata in massa dai suoi abitanti è oggi una città balcanica.
FIUME "Città olocausta", decorata di Medaglia d'Oro al Valore Civile il 22 Maggio 1924 da Sua Maestà il Re d'Italia Vittorio Emanuele III, in premio dei sacrifici sostenuti per congiungersi all'Italia, Il Senatore Leo Valiani, nel 1990 così scriveva: "Fiume è una città italiana dalla sua fondazione. Politicamente lo è diventata solo nel 1924, ma etnicamente e culturalmente lo è sempre stata".
Ciò è testimoniato anche dalle lapidi del suo cimitero.
La briga di censirle se l'è assunta Monsignore Luigi Torcoletti, il quale ha rilevato che nel Camposanto di Fiume l'80,7 % delle epigrafi poste negli anni, si badi bene: dal 1800 al 1919, dunque prima dell'impresa di Gabriele D'Annunzio, era in italiano. Alla fine del 1945, 54.000 Fiumani su una popolazione di 60.000 anime, ha preferito l'esilio alla cittadinanza jugoslava: questo ci sembra più di un plebiscito.
POLA. L'imperatore Augusto, in omaggio alla figlia Giulia, l'aveva chiamata "Pietas Julia". Il censimento del 1921 aveva dato i seguenti risultati: 41.000 Italiani, 5.000 Croati, 265 Sloveni, 2.718 di altre etnie.
La Città, conosciuta la sua sorte alla stipulazione del Trattato di Pace, si vuotò completamente, 30.000 polesani, su una popolazione di 32.000, la lasciarono per sempre.
Il piroscafo "Toscana", capace di 2.000 posti, fece dodici viaggi verso i porti di Venezia e di Ancona.
Lo scrittore Silvio Benco, in quello stesso anno, siamo nel 1947, così aveva descritto l'esodo da Pola: "…Se ne vanno dalle case dei Padri, coi vecchi, con le mogli, coi bimbi, col poco che hanno potuto raccogliere della roba loro, e cauto l'estraneo mondo li guarda. Triste è pensare che nel mondo di oggi, nel disanimato mondo uscito da una spaventosa guerra, non c'è più Pietas Julia. Ma Pietas Julia, Pietà per la Gente Giulia, c'è e durerà eterna in noi e in quanti, Italiani, hanno un'anima".
Nell'ultimo viaggio il "Toscana" portò via anche le spoglie di Nazario Sauro, di Capodistria (si ricorda, per inciso, che questo è, in rapporto alla popolazione, il Comune d'Italia con il più alto numero di decorati al Valore Militare), Volontario Irredento, Tenente di Vascello della Regia Marina, decorato di Medaglia d'Oro e di Medaglia d'Argento al Valore Militare, passato alla storia come: "figlio dell'Istria, eroe dell'Italia".
GORIZIA Detta la "Santa" perché coinvolta nelle dodici battaglie dell'Isonzo è la Città che conobbe il leggendario gesto del bersagliere Enrico Toti.
S'è salvata per miracolo: fu restituita alla sovranità italiana il 15 Settembre del 1947.
Palmiro Togliatti, lo storico leader dei comunisti di casa nostra, l'aveva offerta al Maresciallo Tito in cambio di Trieste, dopo aver già minacciato nel ’45 la guerra civile se il C.L.N.A.I. avesse ordinato di evitare l’occupazione jugoslava. I Goriziani, sdegnati, insorsero, proponendo al citato signore di dare a Tito piuttosto qualcosa di suo, qualcosa di intimo personale o familiare. Il confine le ha portato via decine e decine di Comuni: ma ancora peggio, ha smembrato il suo centro urbano, cedendo alla Jugoslavia le Stazioni di Montesanto e San Marco, il sanatorio, il vecchio Cimitero cattolico e quello ebraico e ancora molti sobborghi.
TRIESTE L'antica colonia romana di Tergeste che si estendeva fino al fiume Quieto.
La Città degli Irredenti. La meta più ambita, fin dalle Guerre d'Indipendenza, da tanti Italiani d'ogni contrada del nostro Paese, Caduti sul suo cammino col suo nome sulle labbra. Molti di loro riposano a Redipuglia.
Dall'8 Settembre del 1943 al 26 Ottobre del 1954 ha conosciuto l'oppressione nazista, poi la più breve ma più devastante occupazione slava, e infine, ancora, per nove lunghi anni, la sofferta attesa durante il Governo militare Alleato.
La Risiera di San Sabba e le foibe di Basovizza e Monrupino sono le terribili testimonianze del suo eroismo e dell'altrui barbarie. La Città è rimasta a noi, priva del suo naturale retroterra, l'Istria, soffocata da un confine che corre a 10 Km. circa dalla sua incomparabile Piazza dell'unità d'Italia.
CENNI STORICI
La Regione è stata da sempre italiana, per ragioni geografiche, storiche, di lingua, di costume e di libera scelta. Nel 27 a.c. era una delle 11 Regioni d'Italia con il nome di "X Regio Venetia et Histria".
Dante Alighieri, nel IX canto dell'Inferno, l'aveva posta entro i termini naturali della penisola italica.
Giosuè Carducci, nel 1885, scrivendo all'amico Giuseppe Caprin, così l'aveva descritta: "…bellissima e nobilissima Regione Italiana, tutta romana e veneta, della grande Patria Italiana…".
Per sei secoli fu Romana e godette della "Pax Romana".
Poi trascorsero lunghi anni nel corso dei quali conobbe il succedersi delle invasioni barbariche al cui seguito giunsero i primi Slavi.
Ci fu quindi, come nel resto della penisola, il fiorire dei Liberi Comuni con i loro Statuti; seguì l'adesione alla Serenissima Repubblica di Venezia e poi l'annessione all'impero austro ungarico, e finalmente, dopo la vittoriosa guerra del 1915 - 1918, il tanto sospirato congiungimento all'Italia.
In quasi 2000 anni la Regione ha sempre conservato la sua cultura latina, la lingua e l'identità italiana.
A riprova si citano le Carte geografiche e marittime edite da svariati Paesi anni prima che quei territori divenissero parte integrante della Nazione Italia. Esse riportano i nomi delle località in italiano: vi leggiamo Capodistria, Pola, Fiume, Cherso, Lussino, Zara. Ad ulteriore conferma della sua italianità basti ricordare i censimenti esperiti all'epoca, compreso quelli austriaci, i quali indicano incontestabilmente che la maggioranza della popolazione era italiana, con punte vicine al 100 % nelle città e nei Comuni della costa occidentale dell'Istria.
Ennesima prova della sua identità emerge dal rilevamento di alcuni dati frutto di indagini storiche:
In Istria, nel 1914, quindi 4 anni prima della vittoria di Vittorio Veneto, quando ancora la Regione faceva parte dell'Impero austro ungarico, 37 Comuni su 50 erano amministrati da Italiani.
Nella 1^ Guerra Mondiale 2.107 Volontari Giuliani accorsero ad ingrossare le file delle Forze Armate Italiane; in caso di cattura andavano incontro all’accusa di tradimento e per loro non valevano le garanzie dei trattati internazionali.
Nella 2^ Guerra mondiale, il primato di perdite umane è proprio di questa Regione, che ha avuto 30 Caduti ogni 1.000 abitanti, a fronte della media nazionale che è di 10 Caduti.
IL MARESCIALLO JOSIP BROZ DETTO TITO
Costui, capo delle formazioni partigiane slavo comuniste insorte alla fine del 1943 per liberare la Jugoslavia dagli eserciti stranieri e dalle bande degli Ustascia (nazionalisti Croati) e dei Cetnici (Monarchici Serbi), inserì nei suoi piani non solo l'annessione di tutta la Venezia Giulia alla nascente "Repubblica Federativa socialista dei Paesi Slavi del Sud", ma addirittura la cacciata di tutti gli Italiani che pure da millenni risiedevano in quei luoghi.
Mai, nessuno dei Popoli che nel corso dei secoli avevano calpestato il suolo di questa Regione si era adoperato a sostituirsi alla popolazione autoctona.
Lo scopo del Dittatore jugoslavo era chiaro: imprimere alla conquista militare il carattere dell'irreversibilità.
Tale disegno, puntualmente realizzato, fu candidamente ammesso da Milovan Gilas, suo braccio destro, in un'intervista concessa nel 1991 al settimanale "Panorama": "Nel 1945, io e il Ministro degli Esteri Edward Kardelj, fummo inviati in Istria con il preciso compito di indurre tutti gli Italiani, con pressioni di ogni tipo, ad andarsene via. E così fu fatto".
La cancellazione dei nostri connazionali dalla Venezia Giulia avvenne in tre fasi ben identificabili:
In un primo tempo, dal 9 Settembre al 13 Ottobre 1943, in Istria. (Si noti bene che si deve ai Tedeschi la temporanea interruzione delle operazioni di pulizia etnica).
In un secondo tempo, dal 1 Maggio al 12 Giugno 1945, dunque a guerra finita, in tutto il territorio, con particolare intensità per la Provincia di Trieste. (gli Anglo Americani, meglio tardi che mai, il 12 Giugno si decisero a spingere le milizie titine al di là della Linea Morgan).
E infine, la terza pulizia etnica, ma non l'ultima, avvenne a seguito del Trattato di Pace e dei successivi accordi internazionali.
LE FOIBE E L’ESODO
Oltre diecimila italiani furono uccisi in quegli anni la maggior parte di essi vennero infoibati, altri furono fucilati o annegati. Il copione era sempre lo stesso, venivano effettuati dei rastrellamenti poi con il calar delle tenebre i prigionieri venivano condotti in zone boschive fuori dai centri abitati in prossimità delle foibe dove, dopo essere stati legati a coppie, venivano uccisi con un colpo di pistola in modo che morendo potessero trascinare nell’abisso della foiba anche il loro compagno. Inizialmente questa tecnica di occultamento dei cadaveri consentì ai titini di negare anche la veridicità degli eccidi poi, a guerra finita, quando si iniziò a recuperare i corpi furono gli stessi alleati con la complicità del Governo italiano a premere perché i corpi non fossero riesumati per non aver problemi con la Jugoslavia soprattutto dopo la rottura di quest’ultima con l’URSS di Stalin. Tito teneva così tanto al suo piano d'espansione verso l'Italia che fece raggiungere Trieste nove giorni prima di Zagabria e di Lubiana. Precedette nell'occupazione gli Anglo Americani di un solo giorno: quanto è bastato per creare premesse nefaste. Dove non riuscì la pulizia etnica si riuscì con la strategia del terrore. Finita la guerra infatti la presenza italiana era ancora preponderante nella Venezia Giulia e quindi iniziarono gli attentati come quello di Vergarolla dell’agosto 1946 dove agenti della polizia segreta titina fecero esplodere vecchi ordigni bellici durante una gara di nuoto provocando una settantina di vittime ed un centinaio di feriti. Chi innescò le mine, innescò l’esodo da Pola. Si noti che la Zona "B" contava 63000 abitanti: in 60.000, negli anni dal 1945 al 1956, abbandonarono ogni cosa pur di restare Italiani.
L’esodo coinvolse circa 350.000 italiani che non vollero rimanere oltre confine e decisero di partire perdendo tutto. La propaganda comunista li dipinse come fascisti dando la stura a deprecabili episodi come quello del treno speciale che, fermo alla stazione di Bologna, vide i ferrovieri emiliani negare il latte ai bambini o le scritte con cui gli esuli venivano accolti come i “banditi giuliani” paragonandoli al ben più noto bandito Giuliano. Quest’atteggiamento permeò la società italiana per molti anni determinando un sentimento d’ abbandono che facilitò l’atteggiamento delle istituzioni che non s’impegnarono affatto per ottenere quantomeno dei giusti risarcimenti per gli esuli. In questo clima nel 1975 con gli accordi di Osimo la linea di demarcazione tra la zona A e B divenne ufficialmente il confine di Stato tra Italia e Jugoslavia, provocando la rivolta inascoltata dei triestini e degli esuli istriani. Nel 1991 con l’inizio delle guerra che porterà alla dissoluzione della Jugoslavia nulla venne fatto dal Governo italiano nei confronti dei nascenti stati indipendenti della Slovenia e della Croazia, ciò rappresentò la definitiva rinuncia italiana ad ogni eventuale rettifica o rivendicazione.
Vogliamo ricordare che l'Istria, Fiume, Zara, erano italiane e oggi non lo sono più: sono un'altra cosa.
Vogliamo gridare forte la Verità, perché la memoria delle ingiustizie patite da questa nobile Regione Italiana non vada perduta. Ai fratelli Giuliani che hanno vissuto il martirio delle foibe e dell'esilio, la nostra sconfinata solidarietà.
Essi:
Hanno impartito al mondo intero una lezione di civiltà, offrendo un chiaro esempio di compostezza, dignità, infinito, non corrisposto, amor patrio.
Hanno ricostruito altrove, spesso in terre molto lontane, il focolare domestico, possiamo immaginare con quanta sofferenza e quali sacrifici, e attorno ad esso hanno creato le condizioni per fare vivere la lingua, le tradizioni e i Valori della nostra cultura, raggiungendo spesso posizioni di prestigio nella scala sociale dei Paesi ospitanti.
Essi hanno onorato e continuano a onorare la nostra Patria.
Vogliamo chiudere con un'espressione di Kipling che lascia aperta la porta alla speranza:
"NULLA PUÒ RITENERSI CONCLUSO FINCHÉ NON È CONCLUSO CON GIUSTIZIA"
Fonte storica: Lega Nazionale Trieste (www.leganazionale.it)

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