L’irriducibile forza dell’idea di Nazione
Per gentile concessione
dell’autore, Leonardo VARASANO, riportiamo integralmente l’articolo “L’irriducibile
forza dell’idea di Nazione”, pubblicato sul Giornale dell’Umbria il 30
settembre 2013 e sul sito dell’autore l’8 ottobre 2013 (www.leonardovarasano.it).
“L’uomo, scrive Niccolò
Machiavelli nel Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, “non ha maggior
obbligo nella vita sua” che con la patria, “dependendo prima da essa l’essere e
di poi tutto quello che di buono la fortuna e la natura ci hanno conceduto”.
Muovendo da questa consapevolezza, ogni essere umano è chiamato ad un senso di
riconoscenza filiale verso la terra che gli ha dato i natali. Chi non ottempera
a questo obbligo morale è come se assassinasse i propri genitori: “colui il
quale con l’animo e con l’opera si fa nimico della sua patria – sostiene
l’autore del Principe - meritatamente si può chiamare parricida”. Di più: il
“lacerare la patria” è “cosa nefandissima”, poiché – aggiunge il fiorentino –
mentre da padri e madri si può essere offesi, “da lei mai si patisce alcuna
persecuzione per la quale possa meritare (…) di essere ingiuriata”.
Secondo un rilevante filone
culturale, le sopracitate parole di Machiavelli – volte a rappresentare l’amor
patrio alla stregua di un inestinguibile legame tra padri e figli – andrebbero
consegnate alla storia. Le idee di patria e di nazione, sostengono da tempo non
pochi studiosi, sarebbero ormai morte, sciolte nell’acido della postmodernità,
del cosmopolitismo e della globalizzazione, schiacciate dallo sviluppo di unità
economiche transnazionali e dalla proliferazione di organizzazioni
internazionali. “La risposta ai problemi globali”, scriveva Ulrich Beck nel
2008, “impone alla politica di fare un enorme balzo in avanti dal sistema
nazionale a quello cosmopolita”. Secondo il sociologo tedesco, l’era delle
nazioni – destinata ad un inevitabile declino – avrebbe già dovuto lasciare
spazio ad uno scenario sovranazionale o postnazionale. Ma così non è stato.
Con buona pace di chi da tempo
ne preannuncia il requiem, l’idea di nazione conserva un’irriducibile forza e
una significativa vitalità. Lo Stato nazionale – come ha scritto tempo fa Galli
della Loggia – resta “l’unico contenitore possibile entro il quale possa
esercitarsi l’autogoverno di una collettività”, resta l’habitat preferito della
democrazia. L’amor di patria, pietra angolare delle più solide identità
storico-culturali, continua a manifestarsi in molti modi. Come dimostrano anche
le cronache più recenti, questo sentimento così profondo e diffuso – tutt’altro
che privo di pericoli e degenerazioni, dalla violenza di piazza fino allo
sciovinismo più esasperato – persiste sotto varie forme: tanto in Francia
quanto in Germania o in Gran Bretagna, gli interessi nazionali paiono
decisamente più importanti degli interessi europei; in Siria, come è emerso
anche in un convegno tenutosi a Perugia nei giorni scorsi, gli uomini di Assad
dicono di combattere non per il regime ma per la patria, messa in pericolo da
nemici esterni; in Catalogna centinaia di migliaia di persone hanno costruito
una catena umana di 400 km per chiedere l’indipendenza da Madrid e ribadire la
specificità della nazione catalana. E gli esempi potrebbero proseguire.
L’idea di nazione continua
dunque ad avere un ruolo significativo sulla scena storica mondiale. Perché?
Forse perché, come scriveva il filosofo e storico delle religioni Ernest Renan
nel 1882, l’esistenza delle nazioni “è garanzia della libertà, che sarebbe
perduta se il mondo avesse una sola legge e un solo padrone”. O, forse, più
semplicemente, perché come sosteneva Giovanni Paolo II, facendo eco – chissà se
consapevolmente – a Machiavelli, l’amor di patria è un’estensione del quarto
comandamento: onora il padre e la madre.
E in Italia? Da noi l’amor di
patria è un sentimento flebile, che si manifesta sporadicamente, per lo più
quando c’è qualche manifestazione sportiva o quando c’è da levare timide
proteste per la perdita di italianità di qualche grande azienda. Anche sul
piano del linguaggio, mentre i francesi indicano la madrepatria con il termine
“Nation”, da noi si preferisce ancora indicare l’Italia con il lemma “Paese”,
neutrale, scolorito, esangue. Dal 1945, quando si affermò il “patriottismo di
partito”, fino alla fine degli anni Novanta, ogni manifestazione di orgoglio nazionale
è stata vista come un sospetto cedimento al nazionalismo passato. Poi però
qualcosa è cambiato, i presidenti della Repubblica Ciampi e Napolitano hanno
cominciato a promuovere l’idea e i simboli di un “patriottismo costituzionale”.
Ma l’esito, complessivamente
deludente, di questa nuova promozione della nazione italiana è sotto gli occhi
di tutti. In questi giorni difficili, c’è la netta impressione che l’Italia –
per dirla con Machiavelli – abbia molti più figli assassini che figli devoti.”